Ho amato la scrittura profonda e intelligente di Erin Entrada Kelly già dal suo esordio italiano con Fai la prima mossa, edito da Terre di Mezzo.
Lettere dall’universo è il suo secondo romanzo e ce lo porta in Italia Rizzoli.
Negli Stati Uniti l’autrice, proprio con questo romanzo, si è aggiudicata la Newbery Medal che, insieme alla Caldecott Medal, rappresenta il più prestigioso premio di letteratura per ragazzi.
Erin Entrada Kelly diventerà certamente una delle voci più apprezzate della narrativa per ragazzi anche qui nel nostro paese.
La sua scrittura è arguta, riesce a tessere insieme trame che da sole hanno significati diversi, ma guardate nell’insieme hanno una grande potenza descrittiva.
Nei ringraziamenti di Lettere dall’Universo, il cui titolo originale è Hello Universe, Erin Entrada Kelly ringrazia:
tutti gli insegnanti e i bibliotecari che mi sono stati accanto durante il mio viaggio nelle luminose terre della letteratura per l’infanzia.
Al di là della bellissima dedica, ciò che mi ha colpito è proprio la definizione di letteratura per l’infanzia come “luminosa”.
Che in effetti è quello che è.
Quando la letteratura per l’infanzia è scritta (e pensata) bene, è come un faro che illumina una strada.
E Lettere dall’universo è decisamente un libro luminoso.
La storia vede intrecciarsi le vite di quattro ragazzini che tra loro quasi non si conoscono.
L’unico legame che li unisce è Virgil Salinas, il protagonista.
Virgil Salinas è gracile e timidissimo, l’unica persona che sembra davvero capirlo è la sua Lola, la nonna.
Gli altri suoi famigliari, a suo dire, sono dei vincenti: non conoscono timidezza, amano lo sport, hanno una vita sociale normale, pure fisicamente non sono piccoli e deboli come lui.
Kaori Tanaka è una ragazzina seria che vuol fare la chiromante, legge le stelle e i cristalli e prende seriamente ogni più piccolo indizio. Per lei le coincidenze non esistono.
Virgil ufficialmente è l’unico vero cliente di Kaori, così lei lo chiama.
Dietro il suo sussiego, per Kaori Virgil è anche l’unico amico.
Valencia Somerset ama la solitudine ed è appassionata di natura e animali.
Non è sempre stata sola: aveva un giro di quelle che credeva essere amiche, ma crescendo si è accorta che per loro la sua sordità stava diventando un limite.
Virgil è innamorato di Valencia, insieme frequentano la classe di sostegno ma lui non capisce perché lei non lo calcoli.
Virgil non si è accorto che la solitudine di Valencia è determinata dalla sua sordità: anche con gli apparecchi acustici, Valencia ha bisogno di leggere le labbra, e Virgil è tanto silenzioso da non parlare quasi mai.
Chet Bullens è il classico bullo.
Gradasso e poco furbo, nasconde anche lui le sue debolezze dietro una sgradevole facciata, per qualche motivo tremendamente simile a quella del padre.
Chet prende spesso di mira Virgil e Valencia.
Un giorno nel bosco le loro vite si intrecciano dando il via ad una storia che ha in sé tre temi fondamentali: la paura, il coraggio, la capacità di mettersi in connessione con se stessi e con gli altri.
In una parola: l’empatia.
L’incalzare degli eventi segue vie che scorrono parallele:
Chet incontra sulla strada Virgil che sta andando a casa di Kaori e getta il suo zaino dentro a un pozzo.
Virgil sfida la sua paura e scende nel pozzo perché proprio quel giorno nello zainetto aveva messo il suo porcellino d’India, ma così facendo rimane intrappolato in fondo al pozzo, al buio, in compagnia delle sue paure.
Ma la sua mente in quel momento di terrore lo aiuta creando una figura che gli ricorda le tante storie e leggende che Lola gli ha raccontato, le storie del suo popolo.
Questa figura, che nella mente di Virgil si chiama Ruby, gli dice di chiudere gli occhi e mandare un pensiero all’universo.
Perché quando ci capita di sentire o di avvertire qualcosa nei dintorni, si tratta dell’Universo che ci ascolta e ci manda una lettera.
Le riceviamo tutti, ma alcuni di noi sono più bravi ad aprirle.
Lentamente tutti i pezzi del puzzle si dispongono sul tavolo e piano piano l’immagine diventa chiara.
Per chi sa leggerla.
Per chi è sensibile.
Per chi sa ascoltare.
Valencia, attraversando il bosco per andare da Kaori in qualità di sua cliente, vede un pozzo aperto e lo richiude per paura che dentro possano caderci gli scoiattoli. Chiudendolo le rimane una strana sensazione addosso.
Kaori sa che Virigil è puntualissimo e si insospettisce quando non lo vede arrivare.
E’ lei che insieme a Valencia si reca nel bosco per cercarlo.
Lì incontrano Chet che è stato morso da un serpente innocuo, e sono le sue vanterie che permettono a Valencia di vedere l’immagine sgranata del puzzle finalmente chiara e capisce dove si trovi Virgil.
Virgil ha attraversato il buio e fuori ha trovato degli amici.
Nel frattempo però, la sotto nell’oscurità, ascoltando la voce immaginaria di Ruby, Virgil ha imparato ad ascoltare se stesso, a darsi una voce e a rivolgerla all’Universo.
Per Virgil, che da quella avventura è uscito cambiato, la caduta nel pozzo con relativa risalita ha rappresentato il classico viaggio di iniziazione di cui si parla in molte leggende.
Quella prova iniziatica diversa per ciascuno ma che dimostra che anche il più piccolo e diverso ha un suo posto nell’affresco del mondo.
Ogni persona ed elemento di Lettere dall’Universo ha un suo posto nella storia (e nell’Universo?) e si inserisce quindi in un meccanismo perfetto.
Lettere dall’universo è un romanzo ricchissimo di spunti, di significati e di simboli.
Principalmente è un romanzo sulla capacità di ascoltare.
Ascoltare le proprie debolezze, riconoscendole invece come caratteristiche e individuando così le nostre forze.
Ascoltare gli altri, anche quando non parlano come Virgil, che però ha molto da dire; anche quando non sentono, ma capiscono e ascoltano con gli occhi e con l’anima.
Ascoltare l’universo, quello che ci vuole dire, quello che ci invia.
Lettere dall’universo è un romanzo che illumina la via e si presta per riflettere sull’empatia.
Aggiungo una particolare nota di interesse del libro: Virgil e la sua famiglia sono di origine filippina.
Questo aggiunge un particolare molto bello alla narrazione, dal momento che Lola racconta a Virgil le leggende tradizionali delle Filippine.
Le stesse leggende che saranno la base dalla quale il ragazzino ripartirà per costruire la fiducia in se stesso.
Questo stesso elemento mi piace moltissimo perché mostra come la letteratura per ragazzi possa mostrarsi specchio dei tempi.
In effetti scorrendo il sito dell’autrice viene da pensare che dietro questa scelta ci sia dell’autobiografia.
Sono molto curiosa circa il folklore, ma anche la letteratura, delle Filippine.
Se queste voci trovano spazio nella narrativa per ragazzi ci sarà solo di che aprirsi la mente.