La leggerezza perduta è un albo illustrato scritto e illustrato da Cristina Bellemo e Alicia Baladan, edito da Topipittori.
Ed entra di diritto nel novero degli albi illustrati e biblioterapia.
Solo senza sfogliarlo, solo partendo dal titolo, si può fare un grande lavoro di narrazione su di sé e sugli altri.
Cosa significa La leggerezza perduta?
Che cosa significa leggerezza in questo caso?
Quali accezioni ha? Di peso fisico o emotivo?
E perdere quale accezione ha?
Ovviamente, come tutti i migliori albi sui quali amo soffermarmi, anche La leggerezza perduta è prima di tutto una bella storia illustrata che si può godere, senza troppi fronzoli, proprio come tale.
La leggerezza perduta ha i toni della fiaba.
C’è un regno, c’è un re, ci sono dei sudditi e c’è qualcosa che minaccia il reame per cui bisogna correre ai ripari.
E c’è, naturalmente, un lieto fine.
All’interno di questo semplice schema narrativo però c’è molto spazio per la metafora.
La leggerezza perduta è un albo illustrato che si compone di metafora, doppi sensi, ironia…e levità.
Le illustrazioni di Alicia Baladan sono un raffinato intarsio, sembrano degli arazzi (per rimanere nel campo semantico di corti, reami, castelli) e accompagnano con garbo e sintonia lo sviluppo narrativo rispettandone i riverberi.
Leggere la storia narrata in La leggerezza perduta infatti è come guardare all’interno di acque leggermente increspate in cui ci sembra di scorgere delle forme che tuttavia riusciamo ad afferrare solo per un attimo.
Caratteristica principale dello stile narrativo è, appunto, l’ironia ben calibrata da un fiorito uso della lingua (suggerisco questo interessante articolo sul sito dell’editore).
Una narrazione che prende gli stilemi della fiaba e ci gioca un po’…
C’era una volta, tanto tempo fa, un castello.
Un castello di quelli che c’erano una volta, per l’appunto.
Il castello della nostra storia sorge su una nuvola.
Appollaiato là in alto ha visto trascorrere i secoli in gran tranquillità: non è mai accaduto nulla di particolare, anche se se le vedette montano guardia non ci sono mai state battaglie o minacce serie.
Tranne che per un fatto gravissimo: il castello era andato via via appesantendosi di cose e rischiava di precipitare.
Il castello aveva perduto la sua leggerezza (prima interpretazione di La leggerezza perduta).
Il Re Celeste Centoventitre (perché ha avuto centiventidue omonimi predecessori) decide di prendere provvedimenti e invita i sudditi a gettare via il superfluo.
aveva dato disposizioni ai suoi soldati di raccogliere tutto ciò che sarebbe stato gettato e di portarlo su una nuvoletta di sua proprietà […] non molto lontana dalla nuvola del castello: vi sarebbe stato inaugurato il museo del Superfluo.
Il problema più grosso per i sudditi (ma non solo per loro) è capire cosa significhi davvero “supefluo”.
Cosa significa superfluo?
I sudditi cercano sul dizionario, non sono abituati alla speculazione filosofica: “eccedente rispetto al bisogno”? “Non strettamente necessario?”? “Inutile”?
Inutile è chiaro.
Buttare via le cose di cui si può fare a meno, soprattutto se pesano.
Ed ecco la seconda interpretazione de La leggerezza perduta: ritrovarla buttando via il superfluo.
Da qui inizia il cuore metaforico della storia che gioca a creare oggetti e immagini muovendosi tra realtà e fantasia, tra modi di dire e modi di sentire perfettamente resi dalle illustrazioni.
chi buttò la macchina per grattarsi la schiena mentre si guardava la tv.
Chi buttò il frullatore per montarsi la testa.
chi buttò le passeggiate a motore.
chi buttò la bombola per gonfiarsi d’orgoglio.
Ma ecco la terza interpretazione di La leggerezza perduta.
Torniamo alla definizione di superfluo: quanto può essere universale e quanto c’è margine di interpretazione personale?
Cosa significa per noi che leggiamo “superfluo”? Cosa è superfluo per noi? E siamo certi che ciò che è superfluo oggi, lo sia anche domani?
A buttare via troppo, la leggerezza rischia di trasformarsi in un vuoto.
qualcuno, preso dalla paura di precipitare, senza ragionare buttò perfino sogni e amori, pensieri e desideri.
Forse non lo sapevano mica che sono leggeri leggeri, e buttarli via non serve a niente.
Il castello si alleggerisce e torna a volare, mentre i soldati acchiappano il superfluo e lo portano nel famoso museo.
Ma ecco la quarta interpretazione de La leggerezza perduta: quel senso di leggerezza al cuore si può ritrovare.
perciò qualcuno, nel chiuso della sua camera, qualche sogno, qualche amore, qualche pensiero, qualche desiderio, bè, se lo riprese indietro.
Come si può vedere La leggerezza perduta si apre alla riflessione, alla complessità, all’ambivalenza.
Tornando al titolo: Leggerezza perduta che accezione ha?
Negativa o positiva?
Vuol dire “perdita irrimediabile di uno stato che non si può più riavere” oppure “Equilibrio che si può riequilibrare imparando a pesare bene tutte le parti?”.
Di nuovo: cosa significano “leggerezza” e “superfluo”?
I pensieri, i desideri e gli amori di cui parla in questo albo sono “leggeri leggeri” e buttarli via vuol dire perdere qualcosa di bello.
Ma noi sappiamo bene quanto alcuni pensieri e alcune emozioni siano pesanti come pietre.
Quelle, forse, è bene che finiscano fuori le mura, nel museo del Superfluo.
Come riconoscerle?
E’ proprio a questo che servono albi illustrati come La leggerezza perduta: non perché sia foriero di risposte precise, ma perché allena a pensare, a farsi domande, a darsi risposte.
E a farlo sorridendo.
Articolo originale del 26 marzo 2021 rieditato nel giugno 2024