A distanza di poco tempo l’una dall’altra, sono uscite tre graphic novel unite da un sottile filo rosso che passa per i temi dell’Oriente e delle seconde generazioni.
Tre graphic novel che parlano di radici, di cultura di appartenenza e di vita in un paese diverso da quella cultura.
Si tratta di tre graphic novel che esplorano, cosa significhi appartenere alle seconde generazioni.
Avere cioè un’origine ben connotata e nascere invece in un paese lontano da quell’origine.
Tre graphic novel che parlano rispettivamente il giapponese, il cinese, il vietnamita.
Sono tutte e tre unite dal filo rosso di protagonisti nati in America, ma che sono cittadini di seconda generazione.
Come tutte le seconde generazioni, la questione dell’appartenenza è un punto caldo.
Così come il ruolo di ognuno dei protagonisti, diviso a metà tra ciò che è fuori casa, nel mondo americano, e ciò che è dentro casa, a contatto con una famiglia dove si parla la lingua d’origine.
Vediamo nel dettaglio queste tre graphic novel.
Magic Fish. Le storie del pesce magico, Trung Le Nguyen, Tunuè
Tien è un ragazzino nato negli USA ma di origine vietnamita.
Ogni sera lui e la mamma leggono un libro di fiabe tradizionali, con un duplice scopo.
In primis perché, attingendo ad un patrimonio conosciuto da entrambi, la madre di Tien può esercitare la lettura e la lingua inglese continuando a tenere viva la memoria della sua cultura.
Ma celato un po’ più sotto, c’è un altro scopo, per Tien molto più profondo, intimo e personale.
Il ragazzino infatti è consapevole della propria omosessualità e cerca proprio, attraverso la fiaba, di veicolare alla madre il messaggio della sua identità.
Lo svolgimento della vicenda non è né così didascalico, né così lineare.
Tra una fiaba e l’altra, narrate attraverso l’espediente dell’utilizzo di specifici colori che ci trasportano in un’atmosfera altra rispetto a quella del presente dei protagonisti, entriamo sia nella vita di Tien, che in quella della madre.
Quella di Tien è la vita di un ragazzino che cresce in America, che ha degli amici, che ha un ballo a cui partecipare e che ha un particolare affetto per un compagno di scuola.
Che come tutti i ragazzi, ha dei turbamenti e ha lo sguardo attento di vede oltre le reti di protezione che i genitori cercano naturalmente di tendere.
Ma c’è anche la vicenda della mamma di Tien, raccontata in alcuni flashback che si attivano, richiamati alla memoria proprio dalla lettura delle fiabe.
L’abbandono del proprio paese, il non vedere più la propria famiglia di origine, accontentarsi delle telefonate, sapere di stare facendo la cosa giusta perché si ha denaro da inviare.
E poi c’è il patrimonio fiabesco vietnamita, diverso dal nostro eppure con delle trame di base così simili alle fiabe che tutti conosciamo.
Il famoso archetipo.
Al grande tema dell’appartenenza culturale da conservare, in Magic Fish si aggiunge il tema dell’identità e di come trovare parole per spiegare ciò che sino a quel momento non a ha avuto parole.
In Magic Fish. Le storie del pesce magico, la lingua è quella del nuovo paese di adozione, che però tratta la materia culturale di provenienza dei protagonisti affinché crei un nuovo terreno di incontro per parlare di nuovi modi di sentire.
Himawari House. Il mio anno in Giappone, Harmony Becker, Deagostini
Target leggermente più alto rispetto a Magic Fish.
La Himawari House che dà il titolo al gn, è una casa studentesca di Tokyo dove Nao si trova a passare un anno di studio.
Nao non è esattamente appartenente alle seconde generazioni: è nata in Giappone ma si è trasferita in America quando era molto piccola, tanto da averne poca memoria.
Ciò ha causato un’oscillazione nel suo sentire di appartenere.
Da un lato il suo aspetto e la sua cultura famigliare non le permettono di sentirsi completamente americana, sebbene negli anni faccia tutto quello che serva per sentirsi tale.
Ma nel momento in cui va un anno in Giappone per studiare la lingua, anche qui non è in grado di sentire l’appartenenza; a dispetto del suo aspetto infatti, Nao conosce poco il giapponese e le abitudini di questo paese.
In Himawari House la lingue (le lingue) sono il terreno di incontro di mondi diversi.
A Himawari House Nao conosce Hyejung, coreana, e Tina, di Singapore.
Tutte loro hanno una storia che le ha condotte in Giappone, e tutte loro si esprimono in giapponese o inglese portando all’interno della conversazione le proprie specificità linguistiche.
A Himawari House ci sono anche due ragazzi giapponesi, Shinichi e Masaki. Quest’ultimo, di modi molto bruschi, vive in realtà lo stesso disagio di Nao.
Se Nao infatti si appoggia molto all’inglese fintanto che non padroneggia il giapponese, Masaki ha enormi difficoltà con la lingua inglese e adotta un atteggiamento chiuso e scontroso dato dalla frustrazione di non potersi esprimere.
Entrambi conoscono la difficoltà che nasce dal sentire qualcosa che non si può esprimere a parole perché le parole, nelle loro infinite sfumature, ancora non si conoscono.
Il valore aggiunto di questa graphic novel è che la molteplice compresenza linguistica è resa effettivamente attraverso diversi tipi di scrittura, inclusa la giapponese e la coreana.
American Born Chinese, Gene Luen Yang, Tunuè
Questa graphic novel uscirà il 6 settembre, la copia in foto è un’anteprima.
Graphic novel che verrà pubblicata a breve in Italia ma che è stata scritta nel 2006, guadagnandosi in breve tempo diverse menzioni, nomination e premi.
Anche qui si affronta il tema dell’integrazione e dell’appartenenza quando si è cittadini delle seconde generazioni.
Ma questo tema è affrontato attraverso tre storie distinte.
La prima è la storia di Jin Wang.
Un ragazzino sinoamericano, ma i suoi compagni di classe, nel nuovo ed elegante quartiere dove la famiglia di Jin si è trasferita, vedono solo il suo aspetto orientale.
E per questo è vittima di bullismo e stereotipi.
Poi c’è la vicenda del biondo e americanissimo Danny, giocatore di basket popolare tra i suoi compagni, in grado di farsi amicizie in tutte le scuole in cui arriva.
Ma, puntualmente, ogni anni, il cugino cinese Chin-Kee viene a fargli visita, rovinandogli tutti i rapporti e mettendolo in imbarazzo.
Chin-Kee è disegnato come l’incarnazione dello stereotipo cinese in americano, lo stereotipo più grezzo possibile (per intenderci lo stereotipo del yellowface interpretato da Mickey Rooney in Colazione da Tiffany).
A intervallare le storie di Jin Wang e Danny, c’è la nota leggenda cinese del Re Scimmiotto (se volete leggerla e avventurarvi in questo studio, consiglio Lo Scimmiotto edito da Adelphi).
Perchè in fondo, anche questa figura incredibile delle leggende cinesi, vive ciò che Jin Wang vive e che tocca trasversalmente tutte e tre le graphic novel riassunte qui.
Il bisogno di essere visti per il valore intrinseco di noi stessi.
E come tali, di essere riconosciuti.
American Born Chinese riesce a sorprendere nel momento in cui queste tre storie subiscono un twist che le intreccia in maniera inaspettata.
Di American Born Chinese Disney+ sta preparando una serie tv in stile high school che sembra essere promettente.
Tre graphic novel sulle seconde generazioni di matrice orientale che però esplorano anche una moltitudine di altri temi.
Oltre a temi come appartenenza, cultura, stereotipo si affrontano infatti anche temi altri come la lingua, l’ambivalenza di appartenenza (il non sentirsi mai pienamente da una parte sola), la ricerca della propria identità, il voler essere sé stessi ma allo stesso tempo il voler essere come gli altri.
Ricorrono temi afferenti all’inclusione come il bullismo, lo stereotipo, il pregiudizio.
Ma esiste anche un tema a latere: al di là delle oggettive difficoltà, personali e imposte dal rapporto con l’altro, è forte il tema della possibilità.
Tutti i protagonisti di queste tre graphic novel riescono a uscire dall’empasse.
Se avvertivano l’etichetta di seconde generazioni come un limite alla libertà di sentirsi parte di qualcosa, ciascuno di loro trova il proprio modo di stare e di essere.
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